martedì 25 febbraio 2014

Attualità Kant


“Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!” era una delle massime illuministiche prese in prestito dal famigerato filosofo Kant, spesso odiato dai liceali perché non capito dalle pagine dei manuali scolastici. Dietro i banchi di scuola, tra le ansie per il voto più alto e l’entusiasmo per il pieno inserimento in quella piccola comunità, chiamata classe, non sempre Kant  riceve la meritata attenzione. 
Crescendo, i più ricorderanno solo qualche locuzione cui attribuire una vaga definizione e quando sentiranno alla televisione il termine ‘trascendentale’ pronunciato dalle labbra di protagonisti di programmi di intrattenimento, sussulteranno e, corrugando la fronte, ricorderanno di quel filosofo prussiano che scrisse le tre Critiche così ermetiche. 
Ma, molto probabilmente, non si chiederanno perché il tipo impomatato, che in quel momento dovrebbe rappresentare veicolo di cultura attraverso uno dei più potenti mezzi di comunicazione, ha chiamato in causa il trascendentale e se lo ha fatto legittimamente. 
È forse questa la fine che meritano tutti coloro che hanno osato pensare e, pensando, hanno condizionato le generazioni a venire? Relegati nei meandri della memoria, pieni di polvere e a rischio tarme. Kant è solo uno dei grandi eroi della storia del pensiero, ma è quello che, sia pure inconsapevolmente, chiamiamo in causa ogni volta che pensiamo con la nostra testa. 
La dignità dell’essere uomini risiede nel pensare avvalendosi dell’unica lanterna di cui disponiamo per far luce, la ragione, con tutti i limiti che le sono propri e che la filosofia non manca di criticare. Da buon figlio dell’Illuminismo, Kant sosteneva che pigrizia e viltà sono le due cause che non permettono all’uomo di uscire dallo stato di minorità, ovvero dall’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza erigere altri a propri tutori. “E’ tanto comodo – scrive in “Che cos’è l’illuminismo” - essere minorenni: se ho un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha la coscienza per me, […] io non ho più bisogno di darmi pensiero da me. Purché sia in grado di pagare, non ho bisogno di pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione”.